Da
qui si doveva cominciare: il cielo.
Finestra
senza davanzale, telaio, vetri.
Un'apertura
e nulla più,
ma
spalancata.
Non
devo attendere una notte serena,
né
alzare la testa,
per
osservare il cielo.
L'ho
dietro a me, sottomano e sulle palpebre.
Il
cielo mi avvolge ermeticamente
e
mi solleva dal basso.
Perfino
le montagne più alte
non
sono più vicine al cielo
delle
valli più profonde.
In
nessun luogo ce n'è più che in un altro.
La
nuvola è schiacciata dal cielo
inesorabilmente
come la tomba.
La
talpa è al settimo cielo
come
il gufo che scuote le ali.
La
cosa che cade in un abisso
cade
da cielo a cielo.
Friabili,
fluenti, rocciosi,
infuocati
e aerei,
distese
di cielo, briciole di cielo,
folate
e cumuli di cielo.
Il
cielo è onnipresente
perfino
nel buio sotto la pelle.
Mangio
cielo, evacuo cielo.
Sono
una trappola in trappola,
un
abitante abitato,
un
abbraccio abbracciato,
una
domanda in risposta a una domanda.
La
divisione in cielo e terra
non
è il modo appropriato
di
pensare a questa totalità.
Permette
solo di sopravvivere
a
un indirizzo più esatto,
più
facile da trovare,
se
dovessero cercarmi.
Miei
segni particolari:
incanto
e disperazione.
Wisława
Szymborska
trad.
Pietro Marchesani
ho perso l'incanto. Mi resta la disperazione.
RispondiEliminaMa torno spesso alla Szymborska
marina