mercoledì 19 febbraio 2014

L' educazione letteraria - un articolo

Dal cibo per il corpo al cibo per l'anima il passo è breve.
Il mio cibo per l'anima attualmente è costituito da letture quali "Artikel und Aspekt" di Elizabeth Leiss, "Constructing a Language" di Michael Tomasello, ma anche da un poco di letteratura tedesca contemporanea e perchè no, qualche articolo interessante che la frequentazione pur sporadica di blog letterari porta alla mia attenzione.
A quest'ultima categoria di cibarie appartiene un articolo piuttosto interessante di Federico Bertoni, apparso su "Between" e reperibile su Le Parole e le Cose. Titolo dell'articolo: "L'educazione letteraria: Appunti di un insegnante del XXI secolo".

Spunti ed osservazioni interessanti:

“È questo, credo, il senso vero che dovremmo ancora cercare nella letteratura e nell’insegnamento letterario, al di là delle battaglie di retroguardia o delle difese d’ufficio della cultura umanistica come materiale da costruzione dei buoni cittadini: dissenso, inquietudine, senso critico, decostruzione di stereotipi e schemi acquisiti, ricerca incessante sulla forma viva della lingua, perché «è scrittore − diceva Barthes − colui per il quale il linguaggio costituisce un problema, che ne sperimenta la profondità, non la strumentalità o la bellezza» (1985: 42).” (pag. 17)

La diagnosi dell'odierna università italiana si articola per questi punti: “[...] la trasformazione dell’università in una consumer oriented corporation, soggetta a forme di valutazione e accreditamento molto più simili a quelle delle agenzie di rating che a quelle di una comunità scientifica; la marginalizzazione di docenti e ricercatori a vantaggio dei burocrati, o (più perversamente) la riconversione dei docenti stessi in amministratori; il crescente potere di rettori-tecnocrati senza slancio politico, intenti solo ad amministrare, a raccogliere fondi o a competere con gli altri atenei; i tempi dell’insegnamento sempre più frenetici, impacchettati nelle ore-credito e nei semestri; la formazione degli studenti come prodotto e non come processo, secondo un modello di «professionalizzazione» e di spendibilità immediata delle conoscenze; l’eclissi dell’idea stessa su cui si fondava l’università tradizionale, cioè la cultura, e la sua sostituzione con il termine-ombrello eccellenza, segno vuoto senza referente, simulacro di un’idea senza contenuto.” (pag. 19)


“«l’università deve trovare un nuovo linguaggio in cui rivendicare il suo ruolo come luogo di educazione superiore – un ruolo che niente a livello storico presuppone come inevitabile e necessario». In questo modo, l’università può diventare «un luogo tra gli altri in cui porre la questione dello stare-insieme», un luogo in cui «un pensiero si sviluppa accanto a un altro pensiero, in cui pensare è un processo condiviso ma privo di unità e identità. […] L’università in rovina si presenta come un’istituzione in cui la natura incompleta e interminabile della relazione pedagogica ci ricorda che “pensare insieme” è un processo fondato sul dissenso», sull’eterogeneità delle voci, su un dialogismo di tipo bachtiniano (Readings 1996: 125, 127 e 192).” (pag. 19-20)

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